Lettera a Paolo

Luca Montanaro

Faceva rumore quel portone. Un cigolio assurdo, di quelli che fanno i portoni di quei vecchi film che ormai non passano neanche più in tivù. E non c’è mai stato verso di farlo tornare a posto. Non che non ci avessimo provato, voglio dire. Ma alla fine la spuntava sempre lui. Non c’era olio, grasso, zeppa o improperio a mezza bocca che tenesse. E allora ci fermavamo, ci guardavamo e sorridevamo.

 

A quel punto non ci era rimasto che rassegnarci, fino a che quel cigolio era diventato quasi rassicurante, familiare. Certo, era un po’ più arrogante del suono delle perline della tenda a fili di Roberto, o dello stridio sommesso del portone di Gianpaolo, ma tutto sommato sentirlo ogni sera significava che dietro quelle porte, sotto cui filtravano le luci accese, c’eravamo tutti noi. Perché il senso è proprio questo, in fondo: “Un paese vuol dire non essere soli”, scrive Pavese ne La luna e i falò. E non è tutto.

 

E con quel portone, appunto, non si riusciva proprio ad essere soli, neanche a volerlo. Neanche quella mattina, saranno state le sette, o forse addirittura prima.

 

 

“Paolè, t’hanno buttato giù dal letto con tutta la macchina fotografica?”

“Scappo che ho avuto una gran idea, stasera ti racconto!”

Ci raggiungesti per il solito aperitivo delle sette di ogni sera, in estate. Il momento più bello, quello in cui puoi quasi toccare le rondini che volano veloci tra via Caldaia Murata e vico degli Amori. Ci parlasti di HolidaysAbruzzo, del progetto di fotografare la nostra regione e condividere scatti e itinerari sui social perché chiunque potesse apprezzarla. Roberto sembrava distratto, ma forse erano le rondini. O forse solo il fatto che è molto socievole, ma poco social.

 

Sembra una vita fa. Tante cose sono cambiate nel frattempo: qualcuno è andato via, qualcuno è arrivato, qualcuno è tornato. Io e Roberto, però, siamo rimasti. E adesso, tra le pagine di Visit Spoltore, ci sono quelle stesse foto, le tue foto.

 

Perché il senso è proprio questo, in fondo: “Un paese vuol dire sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. E così è tutto.

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